20 Aprile 2024
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4 giorni di mare, sole, qualche visita culturale (giusto per tacitare la coscienza) e, soprattutto, cibo. Già la Sicilia di suo è il paradiso della tavola, ma se si parte da Milano per andare a San Vito Lo Capo in occasione del Cous cous Fest 2019, non può che finire “a schifio” per qualsiasi dieta.

Sono anni che Giampiero vorrebbe andare al festival del cous cous e quest’anno abbiamo deciso di prenderci questi 4 giorni di vacanza a metà settembre. Prenotando volo e casa a maggio siamo riusciti a trovare un buon prezzo, siamo in 4 e tra volo, casa e auto abbiamo speso 180 euro a testa.

Il Cous Cous Fest 2019, XXII edizione

Quest’anno il claim del festival è “Make cous cous not walls”, una variazione della frase dipinta sul Muro della vergogna a Betlemme “Make hummus not walls”.

“Make hummus not walls” sul Muro di Betlemme

E il festival è effettivamente senza muri dato che ospita specialità da tutto il mondo (anche tradizionalmente estranee alla cultura del cous cous) e quindi è una delizia perdersi nei sapori e nei colori che popolano le strade di San Vito.

Ma prima di dedicarci alla degustazione, meglio seguire alcune regole di base:

1. se non si è interessati alla kermesse culinaria meglio evitare San Vito Lo Capo durante il Cous cous Fest: la sera la cittadina si riempie a livelli inverosimili e bisogna adattarsi a far la fila per cenare;

2. se si decide di andare a San Vito Lo Capo nei giorni del Cous cous Fest è meglio alloggiare in città perché arrivare da fuori è una missione molto impegnativa: chilometri di coda (lentissima) per arrivare e poi parcheggiare, soprattutto nei week end;

3. se si alloggia a San Vito Lo Capo, ma si desidera passare una giornata fuori visitando i dintorni, meglio rientrare dopo le 22.30/23, sempre per le lunghe code in ingresso;

4. non fermatevi alla prima “Casa del cous cous” che incontrate: ce ne sono 3 e ognuna offre 3-4 tipi diversi (dal classico marocchino, a quello con spada e finocchietto selvatico a quello brasiliano con cocco e frutti di mare ecc.), quindi conviene fare prima una piccola perlustrazione.

Fatte salve queste piccole, ma vitali, regole, il soggiorno a San Vito è stato piacevolissimo.

La sera del nostro arrivo, non conoscendo la regola n. 4, ci siamo fiondati sulla prima Casa che abbiamo incontrato provando il classico cous cous marocchino e uno di pesce. In tutte il menù degustazione è di 10 euro e comprende un piatto di cous cous e una bibita o vino.

Ma per mangiare non c’è solo il festival. Prima di tutto non si possono evitare delle arancine per aperitivo, spettacolari quelle fritte al momento da iampizza. Poi di ristoranti ce ne sono parecchi, noi ci siamo trovati benissimo da Alfredo: tutto quello che abbiamo mangiato era ottimo, ma una segnalazione particolare la meritano le busiate al pesto trapanese e melanzane e le cassatine.

Il mare a settembre

Non c’è che l’imbarazzo della scelta. A San Vito c’è una lunghissima spiaggia in gran parte attrezzata, ma con una parte libera: a seconda di come tira il vento (che c’è sempre) si può stare da un lato o dall’altro dell’insenatura per trovare il mare calmo.

Sul lato occidentale della penisola ci sono varie cale e spiagge, noi ci siamo fermati alla Cala Bue Marino che, con le sue acque cristalline, è stata eletta nel 2016 la spiaggia più bella da Legambiente.

 

Il lato orientale è invece quasi completamente occupato dalla Riserva naturale dello Zingaro: si arriva in auto al punto di ingresso (5 euro, aperta dalle 7:00 alle 19:30) e poi si prosegue a piedi. Volendo si può arrivare fino a Scopello seguendo vari sentieri (da quello costiero, più facile, circa 7 km a quello Alto, più difficile, 13 km). Lungo il percorso ci sono alcune case-museo, ma soprattutto bellissime cale dove fare il bagno. Purtroppo, la gente non è poca, anche in settembre, e quindi meglio andare piuttosto presto e ritirarsi quando la cala si riempie.

 
Riserva naturale dello Zingaro
Riserva naturale dello Zingaro

Riserva naturale dello Zingaro

Riserva naturale dello Zingaro

Non solo Cous Cous Fest: una gita Erice e a Trapani

Lasciando il Cous Cous Fest, dedichiamo una giornata alla visita di Erice e Trapani, ma prima ci fermiamo alla Tonnara di Bonagia per visitare uno dei tanti piccoli luoghi quasi sconosciuti della nostra Penisola, ma ricchi di storia e di magia.

La Tonnara di Bonagia

Invece di entrare e visitare il Museo della tonnara per conto nostro preferiamo aspettare la visita guidata che, come si dimostra anche in questo caso, è sempre la cosa migliore per capire quel che si vede.

Bonagia è un piccolo borgo di pescatori che si trova tra Custonaci e Trapani. dove si trova una delle più antiche Tonnare dell’isola, la cui esistenza è nota sin dal 1266 quando i sovrani normanni la elencarono tra i beni appartenenti alla corona concedendo a privati di esercitarvi la pesca del tonno. Dal XXVII secolo diventa un baglio (fattoria fortificata con ampio cortile), oggi recuperato e trasformato in albergo (rimane visitabile il cortile e la chiesetta), che ingloba una torre di avvistamento cinquecentesca, oggi sede del Museo della Tonnara, curato dall’Associazione Salviamo le tonnare.

La Tonnara è appartenuta a varie famiglie e nel 1973 i diritti di pesca e i natanti furono acquistati dall’imprenditore Nino Castiglione che continuò a svolgere annualmente la mattanza fino al 1979 ed è proprio una componente della famiglia Castiglione (produttore del Tonno Auriga) che ci guida nella visita al Museo.

Nel Mediterraneo transita la specie più pregiata di tonno, il bluefin (tonno rosso), il cui passaggio viene chiamato “tonno di corsa” perché quando, nel mese di aprile, entra nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra è in corsa per la riproduzione. Quello che mangiamo in scatoletta è il tonno pinna gialla che si pesca nell’Atlantico dato che il bluefin viene consumato crudo o cucinato (rigorosamente tra aprile e giugno dato che quello è il periodo in cui si pesca); l’unico tonno in scatola bluefin che ho trovato è quello delle Tonnare di Carloforte, ovviamente costosetto. Proveniente da Terranova, il tonno rosso cerca nel nostro mare le acque ideali per la deposizione delle uova. I banchi di tonno stazionano circa 60 giorni nelle acque di Sicilia e Sardegna per poi puntare verso Francia e Spagna e quindi uscire (chi è sopravvissuto e i nuovi nati) nuovamente da Gibilterra.

Il tonno rosso è a rischio di estinzione soprattutto per l’altissimo utilizzo che se ne fa in Giappone e, in generale, nei piatti di sushi e sashimi sempre più diffusi nel mondo. Per approfondire il tema si può leggere questo articolo di Internazionale e questo articolo di Giornalettismo che fa riferimento a un’inchiesta della trasmissione Presa Diretta.

All’interno del Museo si possono vedere attrezzi di lavoro, utensili e una mostra fotografica che racconta le varie fasi della pesca del tonno. nonché la riproduzione delle reti con le varie “camere” che portano a quella per la mattanza. Alla visita fanno da sottofondo le cialome, i tipici canti dei pescatori che servivano per ritmare le varie attività della pesca.

Nel terreno antistante la Tonnara, i relitti di alcune muciare, le imbarcazioni utilizzate per la pesca del tonno per il cui restauro è giunto, dopo una lunga attesa, un fondo europeo di 100.000 euro; come ci dice la signora Castiglione manca solo qualche firma per poter finalmente intraprendere i lavori per la musealizzazione delle barche, che verranno poste sotto una struttura in vetro, a qualche decina di metri da dove si trovano ora.

Tonnara di Bonagia
Tonnara di Bonagia, panorama dalla torre cinquecentesca 

La pasticceria Maria Grammatico di Erice

Arroccata a 751 m di altitudine, Erice è un noto gioiellino che, secondo Tucidide, fu fondata dagli esuli troiani, che fuggendo nel Mar Mediterraneo avrebbero trovato il posto ideale per costruirvi la propria dimora. Secondo Virgilio, Enea vi seppellì il padre Anchise morto a Drepano (l’odierna Trapani).

Protetta sul versante occidentale da mura del VIII/VII secolo a.C. che offrono una vista unica sulla costa trapanese, la cittadina, insieme al ricco patrimonio architettonico custodisce un gioiello unico: l’Antica pasticceria Maria Grammatico, un tripudio di “palline” di pasta di mandorle all’arancia, pistacchio o cacao, lingua di suocera, sospiri (dolcetti alla mandorla e limone), cassatelle, bocconicini, bellibrutti, bucellati al fico…

Come se non bastasse quello che stiamo ingurgitando al Cous Cous Fest, ci gettiamo a capofitto in queste delizie.

Antica pasticceria Maria Grammatico,
Antica pasticceria Maria Grammatico,

Le Vie dei Tesori a Trapani

Il ricordo che avevo di Trapani risale ai primi anni ’90 quando vi transitati per andare alle Egadi e non era esattamente un bel ricordo. Oggi è invece una città deliziosa, il cui centro storico è stato ampiamente recuperato (grazie anche agli investimenti per la Coppa America del 2005), inoltre noi siamo casualmente capitati nel periodo de Le vie dei tesori e questo ci ha permesso di visitare anche luoghi che normalmente non sono aperti al pubblico.

Trapani
Trapani

Le Vie dei Tesori è un’iniziativa che nasce nel 2006 da un gruppo di giornalisti e operatori culturali di Palermo “convinti che siano le persone a cambiare le città. E decisi a valorizzare il patrimonio materiale e immateriale del Paese mettendo a rete le sue migliori risorse” (così si legge nel sito dell’organizzazione. Nel 2019 Le Vie dei Tesori si svolge in 8 weekend tra settembre e novembre. Partita il 13 settembre con dieci città, per tre weekend, fino al 29 settembre (Acireale, Caltanissetta, Marsala, Messina, Naro, Noto, Sciacca, Sambuca, Siracusa, Trapani), l’iniziativa prosegue dal 4 ottobre a Palermo, Catania, Ragusa, Modica e Scicli, fino a domenica 3 novembre.

Sono ben 25 i luoghi che si possono visitare a Trapani (ogni ingresso 2,5 euro ma sono disponibili coupon da 6 e 12 euro, rispettivamente per 4 e 10 visite, acquistabili direttamente sul sito. Su consiglio di un trapanese che abbiamo incontrato alla Tonnara di Bonagia (uno dei 25 luoghi) abbiamo visitato:

– la Cappella della Mortificazione: luogo nascosto e sconosciuto agli stessi trapanesi, colmo di riferimenti e simboli che alludono alla mortificazione e alla morte

– il Campanile e i Chiostri della Chiesa di San Domenico: davvero singolare la scala elicoidale in pietra arenaria per salire alla cima della Torre Campanaria dalla quale si gode una vista spettacolare;

– la Chiesa di San Domenico e Cappella dei Crociati: edificata dai Domenicani sui resti di una precedente chiesa, la facciata conserva il rosone del 1300 e, all’interno, un raro esempio di Crocifisso doloroso gotico al quale sono attribuiti miracoli; sopra all’ingresso un bell’organo.

– la Chiesa di San Nicola. È una vera e propria “chicca” per due motivi: la collezione di oltre 110.000 “santini” o “santine” come li chiama la nostra guida, cartoncini (ma non solo dato che la raccolta comprende esemplari in argento) che raffigurano l’immagine di un santo, con pezzi veramente splendidi che risalgono al X secolo e santini a “teatrino” con figure colorate e a rilievo; il Presepe meccanico merita un capitolo a sé.

Il Presepe meccanico della Chiesa di San Nicola

Il Monumentale Regio Presepe Meccanico realizzato anche nei più piccoli meccanismi da Jaemy Callari e Roberta Fontana del Laboratorio Nobiles Officinae; Roberta ci ha accompagnato nella visita, mostrandoci, oltre alla collezione di santini, il Presepe Monumentale, alcune opere realizzate per committenti privati e il laboratorio, dentro la Chiesa, dove lei e Jaemy lavorano.

Riporto quanto scritto nel sito del Laboratorio: “Il Presepe antico siciliano, scomparso già da anni viene oggi realizzato con figure in cera di 24 cm con ampie scenografie del luogo, con costumi e tradizioni siciliane. Questa tipologia di Presepe offre la possibilità d’inserire in un contesto religioso uno studio antropologico, dove l’elaborato è ricco di molteplici particolari, ricostruzioni fedeli sia del mondo architettonico che figurativo, dove i singoli elementi vengono rappresentati fedelmente, per ricostruire storie e avvenimenti di un passato attualizzato o di un presente inculturato. Altra caratteristica del Regio Presepe è la fedele ricostruzione artigianale di meccanismi che rendono il plastico in movimento, sfruttando ancora oggi il sistema già impiegato all’interno degli organi a canne nei secoli scorsi. A differenza di quello napoletano, che si concentra per lo più sulla Natività e qualche gruppo architettonico con figure di 30 cm in terracotta, quello siciliano comprende figure di 24 cm in cera e varia per quanto concerne gli spazi di rappresentazione realizzando scene ed architetture molto più ampie e complesse”.

Oltre ad effettuare restauri su presepi antichi, Roberta e Jaemy, entrambi laureati in Accademia di Belle Arti, realizzano presepi su richiesta e riproduzioni di “santini”, in particolare quelli a teatrino, su carta e con tecniche del ‘700. È stato un piacere incontrare questi ragazzi.

Monumentale Regio Presepe Meccanico a Trapani

Monumentale Regio Presepe Meccanico a Trapani
Monumentale Regio Presepe Meccanico a Trapani
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