19 Aprile 2024
Nel mio immaginario di sessantenne, il Vietnam è indissolubilmente legato a quella guerra che qui chiamano "americana" e la visita del paese è un po' mediata da quell'immagine. A parte questo, è comunque un paese diverso da quello che ci si potrebbe aspettare: alcuni luoghi mitici sono meno affascinanti di quanto pensassi mentre altri sono spettacolari; Hanoi e Ho Chi Minh/Saigon sono due città divertenti e particolari. Siamo stati sfortunati con il tempo, ma comunque il Nord mi è sembrato decisamente più bello del Sud. 21 dicembre 2018 - 5 gennaio 2019 
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Nel mio immaginario di sessantenne, il Vietnam è indissolubilmente legato a quella guerra che qui chiamano “americana” e la visita del paese è un po’ mediata da quell’immagine. A parte questo, è comunque un paese diverso da quello che ci si potrebbe aspettare: alcuni luoghi mitici sono meno affascinanti di quanto pensassi mentre altri sono spettacolari; Hanoi e Ho Chi Minh/Saigon sono due città divertenti e particolari. Siamo stati sfortunati con il tempo, ma comunque il Nord mi è sembrato decisamente più bello del Sud.
21 dicembre 2018 – 5 gennaio 2019 

Pensiamo da tempo al Vietnam ma abbiamo qualche perplessità se andarci quest’anno perché sono passati solo pochi mesi dal viaggio in Cina, il dubbio è se scegliere una meta totalmente diversa. Dopo avere vagliato qualche altra destinazione, il ponte natalizio 2018-2019 è troppo ghiotto per non approfittarne, alla fine optiamo comunque per il paese di Ho Chi Minh. 

Partenza da Malpensa alle 9.40 del 21 dicembre e arrivo in Vietnam, a Ho Chi Minh City (alias Saigon, come gli stessi vietnamiti continuano a chiamare la vecchia capitale del Vietnam del Sud) alle 13 del 22 (scali a Doha e ad Hanoi). Da Milano siamo Giampietro, Alba Rosa, Samuel, Gino, Stefania, Silvia, Massimiliana, Paola, Lorenza, Mario, Giampiero ed io; a Doha ci troviamo con Massimo, Patrizia ed Elena.

IL VIETNAM VISITATO DA UNA SESSANTENNE

Prima di iniziare il racconto di questo viaggio è però necessaria una premessa: penso che una persona della mia generazione, per di più di sinistra (ahi ahi che parolaccia di questi tempi!!), viva un viaggio in Vietnam con un pathos molto diverso da chi ha anche solo 15 anni di meno. Nel mio immaginario il Vietnam è infatti indissolubilmente legato alla foto della bimba che fugge terrorizzata e urlante di dolore per il napalm che ha distrutto il suo villaggio e le sta corrodendo la carne. Oggi il Vietnam è un altro mondo, lontano anni luce dalle guerre che lo hanno dilaniato nel secolo scorso, dalla dura repressione nel Sud seguita alla caduta o liberazione (a seconda dei punti di vista) di Saigon e dal crollo dell’economia dei primi anni ’80.

La riforma economica del 1986

La svolta in Vietnam avviene nel 1986 quando Nguyen Van Linh lancia una campagna per il rinnovamento politico ed economico e la costruzione di “un’economia di mercato orientata al socialismo” (Doi Moi) che porta poi a incoraggiare la creazione di imprese private. Un percorso impegnativo per un paese che tra giapponesi, francesi e americani è stato in guerra per 35 anni (ai quali vanno aggiunti gli 11 anni di invasione e occupazione della Cambogia), le cui campagne sono state distrutte (con danni che si sono protratti per anni) dai bombardamenti, dal napalm e dal micidiale “agente arancio” e che, nella sola guerra contro gli americani, ha registrato oltre 3 milioni di morti. Infatti, 7 anni dopo il varo della riforma economica, la Banca Mondiale registrava che circa il 60% della popolazione viveva ancora sotto la soglia nazionale della povertà (oggi è solo il 3% della popolazione che si trova in queste condizioni).

Sviluppo ma contenimento della disuguaglianza economica

Lo sviluppo e il vero e proprio boom economico di cui è protagonista il Vietnam, anche se spesso assimilato al percorso compiuto dalla Cina si differenzia da quello del Dragone asiatico per aver saputo combinare sviluppo economico e contenimento della disuguaglianza economica: il classico indice econometrico per misurare la disuguaglianza, il coefficiente Gini, dal 1992 al 2016 risulta pressoché invariato mentre quello della Cina è cresciuto di oltre il 30%. Più inclusivo dal punto di vista economico, il Vietnam rimane un regime autoritario dove non ci sono libertà politica e di stampa e permangono disuguaglianze di genere, per gruppi etnici e per aree geografiche. Questi, in estrema sintesi, i dati ufficiali del Vietnam sui quali si innestano le mie impressioni, inevitabilmente superficiali come possono essere quelle di una turista che in 15 giorni visita un paese grande poco più dell’Italia.

Vietnamiti come gli italiani degli Anni ’60

La vicinanza fisica e le similitudini nell’evoluzione economica in un caso, la condivisione della tragedia dei bombardamenti nell’altro mi hanno portato spesso, in questo viaggio, a paragonare il Vietnam con la Cina e il Laos (paese che mi è rimasto nel cuore), per cui quelli che riporto sono flash nei quali emerge questo confronto. Più morbidi, disponibili e rilassati dei cinesi, i vietnamiti mi ricordano gli italiani degli anni ’60: intere famiglie (ho contato fino a 5 persone) su un motorino; sorridenti, entusiasti e orgogliosi di un presente conquistato quotidianamente.
A differenza dei laotiani che trasmettono una serenità contagiosa e che, con piccoli gesti e timidi sorrisi, ti avvolgono in un caldo abbraccio facendoti sentire un amico in visita più che un turista, i vietnamiti (esattamente come gli italiani negli anni ’60) fanno di tutto per renderti il soggiorno piacevole, ma hanno ben chiaro che tu, come turista, sei una preziosa fonte di reddito e rimani sempre un estraneo. Per quel che riguarda i paesaggi purtroppo il maltempo ci ha penalizzato, ma nonostante il grigiore alcuni, come la Baia di Halong, sono memorabili mentre altri, come il delta del Mekong, assolutamente deludenti.

Le due città principali, Hanoi e Saigon, seppur molto diverse e ognuna bella a suo modo sono accomunate da un tratto: l’avanzata inesorabile, compatta e impenetrabile dei motorini nelle sue strade che i pedoni devono affrontare con lo stesso spirito degli americani durante l’offensiva del Tet. E ora veniamo al resoconto del viaggio.

01-Saigon Pagoda-Chua-Phuoc-Hai
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HO CHI MINH CITY: IL PRIMO CONTATTO CON IL VIETNAM

In un viaggio di 15 giorni non si può certo “sprecare” un pomeriggio per riposarsi da una ventina di ore di viaggio (in Vietnam siamo avanti di 6 ore rispetto a Milano) e quindi, quando il bus viene a prenderci, andiamo direttamente a fare un piccolo giro per la città senza neanche passare dall’albergo.

Una visita al tetto della Pagoda dell’Imperatore di Giada

Primo stop alla pagoda Chua Phuoc Hai, detta la Pagoda dell’Imperatore di Giada perché dedicata a Ngoc Hoang, divinità suprema del Taoismo e denominato appunto Imperatore di Giada ovvero il Re del Paradiso.

Appena entrati nella Pagoda, costruita nel 1909 per gli immigrati cantonesi, ci si imbatte in due gigantesche e minacciose statue che raffigurano i due generali che sconfiggono il Drago Verde e la Tigre Bianca (figure retoriche presenti nel taoismo, nel buddhismo e nel confucianesimo). Al proprio interno la Pagoda custodisce la statua dell’Imperatore di Giada, fiancheggiata dalle sue guardie del corpo, i Quattro Grandi Diamanti (Tu Dai Kim Cuong, così denominate perché considerate più dure di un diamante), e, nella sala successiva, la statua Thanh Hoang, il Padrone dell’Inferno, attorniato da pannelli in legno che raffigurano i tormenti destinati ai malvagi in ciascuna delle 10 Regioni dell’Inferno. Segue una piccola sala con 12 statue di donne sommerse da bambini, ciascuna delle quali rappresenta una caratteristica umana. Non bisogna assolutamente mancare la piccola scala che conduce alla terrazza dalla quale si possono vedere da vicino le splendide decorazioni in ceramica del tetto. La Pagoda, essendo un luogo di culto molto attivo, è colma dei più svariati oggetti (molti dei quali kitcsh al di là di ogni possibile immaginazione) e di cibo.

Museo dei residuati bellici: le atrocità della guerra

La sosta successiva è un tuffo nell’agghiacciante passato della guerra con la visita al Museo dei residuati bellici ospitato nell’edificio che fu sede dei servizi informativi americani. Una visita che ammutolisce per le atrocità che vi sono illustrate attraverso le fotografie e gli oggetti di morte qui raccolti. Non aggiungo altro perché scadrei nella retorica mentre è un luogo da vivere e ricordare con raccoglimento e che impone profonde riflessioni interiori.

Concludiamo il nostro primo giorno in Vietnam con una rapida vista alla Posta Centrale, un bell’edificio che fu costruito da Gustave Eiffel e al cui interno campeggia una gigantesca foto dello “zio Ho”, un’occhiata, dall’esterno perché è chiusa, alla Cattedrale di Notre Dame e dopo essere passati davanti al Palazzo della Riunificazione giungiamo finalmente in albergo. Rapida cena in un vicino ristorante e alle 21.30 finalmente sprofondo nel sonno fino alle 6 quando suona la sveglia.

Pagoda Thien Hau, nell’antico quartiere cinese di Saigon, Chalon

Dopo un’ottima e abbondante colazione, tutti in bus direzione delta del Mekong, con una piccola sosta alla Pagoda Thien Hau, nell’antico quartiere cinese di Saigon, Chalon. Costruita dalla Congregazione di Canton nel 1760, la Pagoda dedicata alla “signora del Mare” invita alla meditazione ed è ricca di particolari cui andrebbe dedicato un po’ di tempo: la prima cosa che colpisce sono le grandi spirali di incenso che scendono dal soffitto all’interno delle quali pendono foglietti rosa nei quali sono scritti preghiere e desideri dei fedeli, ma la pagoda è piena di deliziose statue e il tetto è delimitato da bellissime decorazioni in ceramica che raffigurano scene di vita cinese del XIX secolo.

DELTA DEL MEKONG: ALLA RICERCA (VANA) DI UN FASCINO PERDUTO

Una brevissima camminata per tornare al bus, giusto il tempo per osservare sbigottiti la perizia con cui le decine di motorini si sfiorano, incrociano ed evitano, e siamo pronti per la nostra gita stile gruppo giapponese in vacanza in un fiume che di affascinante ha ormai solo il nome (inevitabile il confronto con un suo affluente nel nord del Laos, mentre il sole si intrufolava nella nebbia che ci accompagnava nelle prime ore mattutine di navigazione, immersi in una vegetazione fitta, accompagnati solo dal borbottio del motore della nostra barca).

In barca all’isola Thoi Son: a very touristic tour

In poco più di un’ora siamo a My Tho da dove prendiamo la barca per l’isola Thoi Son (unicorno) seguendo un percorso prefissato e collaudato, accompagnati da un guida che, come le altre del viaggio, parla un inglese veramente difficile da capire.

Prima tappa presso un apicultore dove assaggiamo del miele, quindi di nuovo in barca verso un altro punto dell’isola per fermarci in un locale in mezzo a una piantagione di cocco dove assistiamo a uno spettacolino (non imperdibile) mangiando dell’ottima frutta; piccola camminata e poi calesse fino a un laboratorio di caramelle di cocco, bancarelle di souvenir vari per giungere in pochi passi al canale interno dell’isola dove saliamo in piccole barche (4 persone più il rematore) per un breve viaggio di 15 minuti circondati dalle palme da cocco che ci riporta alla barca principale con la quale torniamo all’approdo di My Tho.

Mercato galleggiante di Cai Rang

Ripartiamo in bus alle 12.30 e, dopo una sosta di mezz’ora per il pranzo lungo la strada, alle 16.20 arriviamo in un lussuoso hotel 4 stelle nella cittadina di Can Tho dove varrebbe la pena mangiare nella strada di fronte al mercato, ricca di bancarelle con street food dei più fantasiosi.

L’indomani partenza alle 6 per vedere il mercato galleggiante di Cai Rang. La levataccia solleva borbottii da parte di qualche componente del gruppo, ma come si capirà poi è necessario essere sul posto (e tra bus e barca ci si impiegherà circa un’ora) abbastanza presto perché è una sorta di mercato all’ingrosso: la frutta arriva su grandi barche e viene acquistata da negozianti o venditori ambulanti che si muovono su barche più piccole.

Arriviamo al limite dell’attività, quando molte barche sono ormai semivuote, ma è interessante e particolare; prima di rientrare all’hotel per la colazione, facciamo tappa in una piantagione di durioni.

Ho Chi Minh City impazzita per la vigilia di Natale

Verso le 11 partiamo per Ho Chi Minh city fermandoci lungo la strada alla pagoda Vinh Trang: tempio buddista ottocentesco, non mi appassiona, ma mi fa simpatia il gigantesco buddha seduto che sorride beato all’ingresso.

Verso le 15 siamo in hotel, dopo un’oretta di relax Giampiero ed io facciamo un giretto al mercato per poi salire, insieme a Mario e Lorenza, alla torre Bitexco, 68 piani e 262 m di altezza, dal cui 49° piano si gode di una vista a 360° sulla città: il fiume sinuoso la taglia in due e le sue strade sono punteggiate dalle centinaia di motorini che le percorrono incessantemente. Dopo avere cenato in un ristorante allestito in strada, nei pressi del mercato Ben Thanh, ci buttiamo nella vita notturna di Saigon.
È il 24 sera e nonostante i cattolici siano in numero veramente minimo, la città è letteralmente impazzita per la vigilia di Natale, anche se credo che ai più ne sfugga il significato dato che sembra una divertente girandola carnevalesca: quasi tutti indossano qualcosa di rosso; i bimbi sono spesso vestiti da Babbo Natale; i motorini formano lunghe colonne scampanellanti e dai locali, dalle cui finestre si vede gente ballare, esce musica a palla. Curioso questo festeggiamento del Natale in Vietnam!

Tutti quelli che incontriamo ci salutano sorridenti, non manca chi ci chiede di fare una foto (gli stranieri in giro non sono tantissimi).

Museo della Storia del Vietnam

L’indomani, prima di andare all’aeroporto, dove alle 13.30 abbiamo il volo per Da Nang, visitiamo il Museo della Storia del Vietnam che merita sicuramente una sosta di un paio d’ore: situato all’interno di quella che era la sede della Scuola francese dell’Estremo Oriente, nelle sue 17 sale (ben strutturate e con indicazioni anche in inglese e francese, oltre che vietnamita) si ripercorre la storia del paese dalla preistoria a oggi attraverso reperti delle antiche culture Dong Son, Sa Huynh, Cham.

LE MONTAGNE DI MARMO E HOI AN, LA CITTÀ DELLE LANTERNE

Un’ora e venti di volo e siamo a Da Nang dove, prima di dirigerci verso Hoi An nella quale sosteremo due notti, ci fermiamo alle Montagne di marmo (Ngu Hanh Son). Luogo sacro situato a 11 chilometri da Da Nang, è composto da cinque montagne ognuna delle quali simboleggia uno dei cinque elementi della filosofia cinese (simbologia che ci viene riproposta talmente spesso che, al ritorno dal viaggio, ho deciso di approfondire dedicandovi un articolo specifico: Fuoco (Hoa), Terra (Tho), Metallo (Kim), Acqua (Thuy) e Legno (Moc).

Le Montagne di marmo

Saliamo, con un comodo ascensore e snobbando la salita a piedi, sulla Thuy Son: è la più grande delle cinque, e la più visitata, e contiene una serie di innumerevoli grotte e anfratti dalle diverse dimensioni che custodiscono varie statue del Buddha e sculture di epoca cham.

Usciti dall’ascensore e oltrepassata la porta Ong Chon, nella quale sono visibili i fori dei proiettili del tempo della guerra (la grotta più ampia veniva utilizzata dall’esercito statunitense come ospedale militare), si accede alla Pagoda di Linh Ong da dove parte il sentiero che conduce alle grotte. So benissimo di essere noiosa e indisponente, ma è troppo vicino il ricordo delle magiche grotte di Yúngāng per essere completamente rapita da questa visita che, pure, nasconde alcuni angoli veramente deliziosi.

Hoi An sotto l’acqua

Le condizioni atmosferiche non sono nostre alleate in questo viaggio e l’indomani visitiamo Hoi An sotto una pioggerella insistente e fastidiosa che, comunque, non impedisce al piccolo gruppetto di cui faccio parte di inforcare le biciclette per spostarsi da una parte all’altra della cittadina. Per visitare la Città Vecchia, disseminata di lanterne di carta colorata, si paga un biglietto che dà diritto all’ingresso a 5 siti.

Oltre al particolare Ponte Coperto Giapponese, costruito nel 1590 dalla comunità giapponese, si possono visitare le traballanti case dei vari mercanti che hanno arricchito la cittadina nei secoli, templi cinesi, magazzini del tè e laboratori artigianali; da non perdere il piccolo mercato centrale coperto, ai margini meridionali della Città Vecchia, dove gustiamo un ottimo pasto a base di ravioli, involtini e quant’altro in uno dei baracchini interni.

Alla spiaggia di An Bang

Nel pomeriggio, uno sprazzo di timido sole (che si ritirerà prontamente tra le nuvole lasciando un cielo bigio, ma perlomeno senza pioggia) ci invita a una biciclettata di 4 chilometri per raggiungere la spiaggia An Bang

La strada per raggiungerla è asfaltata e costeggia risaie e piantagioni per poi terminare in un grande parcheggio, per biciclette, dal quale si raggiunge in pochi passi la lunghissima spiaggia di fine sabbia bianca che si apre su un oceano sterminato e, oggi, tempestoso per cui ci limitiamo a una bella passeggiata concedendoci di immergere nell’acqua tiepida solo i piedi.

Tornati in hotel per una breve sosta, la sera andiamo a cena in un ottimo e suggestivo ristorante nella Citta Vecchia, il Morning Glory, dove si gusta cucina tradizionale vietnamita, e chiudiamo la serata bighellonando lungo la strada che costeggia il fiume, in un tripudio di barche di ogni dimensione che, coreograficamente illuminate dalle lanterne colorate, solcano l’acqua tra i ponti che separano la Città Vecchia dalle isole che riempiono la foce del Thu Bon.

DALLA VECCHIA CAPITALE HUE AI TUNNEL DELLA DMZ DEL VIETNAM

Il viaggio in bus per Hué prevede una sosta ai templi di My Son dove arriviamo con circa un’ora di bus. Immerse nella giungla, le antiche rovine cham hanno subìto danni irreparabili dai bombardamenti americani durante la guerra.

I templi di My Son: una visita suggestiva

Delle 68 strutture un tempo esistenti ne sopravvivono solo 20 che noi visitiamo sempre accompagnati da una pioggerella quasi impalpabile, ma che infradicia fino alle ossa. Non dico che con il sole non sarebbe stata una visita più piacevole, ma la pioggia ha l’indubbio vantaggio di ridurre il numero dei visitatori (essendo molto conosciuto, il luogo è normalmente assalito da orde di turisti) insieme a quello di immergerti in un ambiente surreale dove il grigio-verde di una vegetazione invadente, che sembra volerti fagocitare nel suo ventre, contrasta con il rosso delle costruzioni semidistrutte.

Transitiamo dal “mare di nuvole”, il passo Hai Van

Risaliamo in bus per percorrere una bella strada che sale sinuosa al passo Hai Van, 496 m, spartiacque tra la piana di Da Nang e la laguna di Lang Co.
Il nome del passo significa “mare di nuvole” e in effetti è avvolto dalle nubi, che però non ci impediscono di ammirare qualche scorcio del paesaggio sottostante con le spiagge bianche lambite dall’oceano.

Scesi dal versante opposto ci fermiamo sulla spiaggia, anche qui il clima non permette di fare il bagno, ma la passeggiata sulla spiaggia fino a un agglomerato di palafitte dove consumiamo un ottimo pasto a base di pesce, è comunque piacevole.

Riprendiamo il viaggio per giungere nel tardo pomeriggio all’antica capitale Hué.

Visita al 17° parallelo

L’indomani è dedicato alla visita della cosiddetta “zona demilitarizzata – DMZ”. La prima sosta, dopo un paio di ore di bus, è in uno dei luoghi simbolo della guerra del Vietnam; il ponte Hien Luong sul fiume Ben Hai, un piccolo fiume che scende dalle montagne laotiane verso l’oceano, correndo lungo il 17° parallelo che separava il Vietnam del Nord dal Vietnam del Sud. Costruito dai francesi nel 1952, il ponte è stato distrutto dagli americani nel 1967; dopo la riunificazione del Paese, il ponte è stato ricostruito nel 1995 con le sue caratteristiche originali: in legno, con le balaustre in colore diverso, giallo (per il Sud) e azzurro (per il Nord), e una linea bianca dipinta sulle assi di legno a memoria della divisione.

L’autista del bus non parla che vietnamita, ci scarica dopo il ponte indicando un monumento (dedicato alle mogli e ai figli dei sudvietnamiti che passarono al Nord per unirsi alla causa comunista), ma non è in grado di spiegarci altro.

Iniziamo a gironzolare un po’ perplessi; poi una compagna di viaggio ingaggia un guida che, per quel che mi riguarda, si rivela abbastanza inutile perché parla un inglese davvero difficile da capire per cui mi allontano dal gruppo e girovago un po’ per la zona (che comprende un museo) per conto mio. Poi risaliamo sul bus e dopo una ventina di chilometri, gli ultimi dei quali immersi nelle curiose piantagioni di pepe nero, arriviamo al villaggio Vinh Moc per visitare uno dei famosi tunnel sotterranei.

I tunnel di Vinh Moc

Contrariamente a quelli della zona di Cu Chi, nella giungla intorno a Saigon, che erano stati costruiti per consentire ai combattenti vietcong di comparire all’improvviso tra i nemici, sferrare i loro attacchi per poi riscomparire nelle viscere della terra, i tunnel di Vinh Moc (che si trovano nella parte settentrionale della zona demilitarizzata) sono stati realizzati principalmente per consentire alla popolazione di mettersi in salvo dai bombardamenti americani e, in secondo luogo, per il rifornimento di armi e viveri all’isola di Con Co.

La visita inizia con la proiezione di un filmato sul periodo della guerra e prosegue scendendo nei tunnel visitabili; dopo qualche tentennamento per paura di una crisi di panico al pensiero di trovarmi sottoterra bloccata dagli altri visitatori, decido di andare quando mi spiegano che sono visitabili solo 200 metri e che si entra a piccoli gruppi. Non vengo assalita da alcuna crisi, ma l’impatto è comunque forte al pensiero delle persone che vi hanno vissuto per anni mentre fuori si scatenava l’inferno.

Visita a Hué: Cittadella, Pagoda Thien Mu e Tombe imperiali

L’indomani mattina è dedicato alla Cittadella di Hué che, insieme alla Baia di Halong, merita il viaggio in Vietnam.

Visto che questa è una vacanza di confronti, dirò che per me rivaleggia in bellezza e maestosità con la Città Proibita di Pechino. Certo, la città degli imperatori Ming e Qing è stata costruita agli inizi del 1400 mentre quella vietnamita, che segna l’inizio della dinastia Nguyen, è di ben 400 anni dopo, ma il suo Recinto Imperiale nasconde sculture delicate, angoli suggestivi, gallerie decorate e la deliziosa Sala di lettura dell’Imperatore.

Usciti dalla Cittadella andiamo in bus alla Pagoda Thien Mu, costruita nel 1844 su un’altura in riva al fiume, visita moderatamente interessante, ma inevitabilmente rovinata dalla pioggia a tratti addirittura scrosciante; segue una breve e insulsa gita in barca della quale ci sfugge il significato.

Concludiamo la giornata con la visita delle Tombe Imperiali che invece sono molto belle, anche se l’idea che le più antiche (Tu Doc e Khai Dinh) siano state costruite nella seconda metà del 1800 le rende sicuramente meno affascinanti. Il soggiorno a Hué si chiude con un imprevisto: dovremmo prendere il volo per Hanoi delle 20:30, ma il vento impedisce agli aerei di atterrare per cui verso le 23 ci trasferiscono in bus a Da Nang (un’ora e mezza) dove è atterrato l’aereo che ci deve portare nella capitale. Arriviamo in hotel alle 4 del mattino.

UN ASSAGGIO DI HANOI E TREK SULLE MONTAGNE

Ad Hanoi abbiamo a disposizione una guida e facciamo un giro canonico che comprende: il mausoleo di Ho Chi Minh dove salutiamo, dopo una lunga coda, la salma dello “zio Ho”; l’abitazione, perfettamente conservata nei suoi particolari, nella quale il leader vietnamita visse tra il 1958 e il 1969; la Pagoda su una sola colonna, una delicata costruzione in legno sorretta da un unico pilastro costruita per ordine dell’imperatore Ly Thai Tong che regnò dal 1028 al 1054, distrutta, con un atto veramente indegno, dai francesi nel 1954 prima di lasciare la città e ricostruita successivamente; la visita si chiude con il tempio Quoc Tu Giam, il Tempio della Letteratura, costruito nel 1070.

Terminiamo il pomeriggio andando a zonzo nelle vivaci vie della Città Vecchia dove, in un tripudio di giacche e zainetti marchiati The North Face, ai negozi di abbigliamento si alternano laboratori di artigiani e immancabili bancarelle di street food.

Treno notturno e arrivo a Sapa nella nebbia

Alle 22.30 ci attende il treno notturno per Lao Cai (ottime cuccette in scompartimenti da 4) da dove ci muoveremo verso Sapa per visitare i villaggi delle tribù di montagna. Alle 6 precise siamo alla stazione di Lao Cai dove ci attende la guida con il bus per Sapa; nonostante siano una sessantina di chilometri ci mettiamo circa un’ora e mezza.

Più saliamo e più il tempo peggiora: la solita insistente pioggerellina e una nebbia che a tratti è talmente fitta da far intravedere solo il bordo della strada. “Circondata da imponenti montagne, Sapa si affaccia su una profonda vallata con terrazze digradanti coltivate a riso”: questa è la descrizione della guida, utile per immaginare quello che avremmo potuto vedere con il bel tempo che, a quanto pare, a Sapa non è comunque la norma.

La cittadina è completamente diversa da quello che immaginavo: gli hotel, dai più economici a lussuosi resort, si susseguono, alternandosi a negozi di tutti i tipi mentre nelle strade un traffico intenso di auto, bus, pullman rende l’aria piuttosto irrespirabile, il tutto accompagnato da un costante e poco piacevole diffuso rumore di clackson e musica a palla. Ma le brutte sorprese non sono finite. Dopo avere sistemato in hotel i bagagli e avere fatto colazione, alle 10 siamo pronti per il trek nei villaggi hamong, da tutti descritto come una piacevole camminata di circa 16 chilometri (tempo previsto circa 5 ore) tra le risaie, con “sali e scendi” non impegnativi.

Un trek più difficoltoso del previsto

La guida ci avvisa che, a causa delle piogge insistenti che imperversano da giorni (possiamo considerarci fortunati se nel nostro caso si tratta solo di pioggerella), il percorso è piuttosto accidentato e, in particolare per raggiungere l’ultimo villaggio, la strada è molto fangosa per cui, dopo avere guardato le nostre scarpe da trek “leggero”, ci consiglia l’acquisto di stivali di gomma perché, dice, ci si infanga parecchio. Il mio dilemma è: soffrire l’inevitabile freddo indossando stivali di gomma o infangarmi, ma tenere le mie scarpe calducce? Opto per la seconda, i miei compagni di viaggio si dividono più o meno a metà: alcuni comprano gli stivali, altri si affidano alle proprie calzature.

Dopo un breve percorso in bus, arriviamo al punto da dove ha inizio la nostra camminata. Veniamo subito circondati da un gruppo di donne e ragazzine vestite con il tradizionale abbigliamento delle tribù di montagna; all’inizio non capiamo bene perché, dopo i normali convenevoli (ma senza che ci venga proposto di acquistare alcunché), continuino a seguirci nei sentieri, poi ci rendiamo conto che sono una sorta di supporto alla guida e ci aiutano, tenendoci per mano e controllando il terreno dove mettiamo i piedi, a percorrere i tratti meno facili.

Piccolissimi spiragli nella nebbia ci consentono, di tanto in tanto, di intravedere qualche risaia terrazzata e l’attraversamento di un paio di ponti sospesi si rivela particolarmente suggestivo, ma nel complesso non si vede granché e potremmo trovarci ovunque. Passiamo dai villaggi Lao Chai e Ta Van, poi ci fermiamo a pranzare in un ristorante che è praticamente all’aperto per cui stiamo un’ora al freddo.

Quando ripartiamo succede il patatrac: fatti pochi passi, una fitta lancinante alla schiena mi impedisce di andare avanti. La colpa è solo mia perché, confidando nel fatto che mi sentivo abbastanza in forma, non ho preso le precauzioni che avrei dovuto e, complice anche il freddo accumulato nell’ora di sosta, la mia schiena si è ribellata in modo definitivo. Gli altri sono già avanti, per cui spiego la situazione alla guida che affida me e Giampiero a un’anziana del gruppo di h’mong che ci accompagnava e che dovrebbe farci arrivare a un punto dove possiamo attendere che tutti terminino il giro e la guida possa mandare un taxi a prenderci.

Comunicazione complessa…anche tra vietnamiti

Purtroppo la comunicazione non è facile e dopo avere camminato ancora per una ventina di minuti mi rifiuto di proseguire (più che altro non riesco proprio): un ragazzo vietnamita, guida di due turisti, cerca di farsi spiegare dall’anziana che ci accompagna quanta strada c’è ancora da fare per l’appuntamento, ma anche lui deve arrendersi perché, ci dice, la signora parla solo il suo dialetto e lui non riesce a capirla, ma è davvero gentile e ci lascia il posto nella sua auto che ci accompagnerà in hotel.

Alla sera scopriamo, dai racconti dei compagni di viaggio, che il percorso fino all’ultimo villaggio, Giang Ta Chai, è stato difficilissimo con un sentiero ripido, molto scivoloso, dove effettivamente il fango rendeva ogni passo un’impresa, e che, a tratti, costeggiava uno scosceso dirupo. Alcuni hanno però detto che, nonostante le difficoltà, è stata la parte più bella del trek.

La sera ci concediamo la cena dell’ultimo dell’anno nel ristorante Sapa Memories dove mangiamo ottimamente per poi festeggiare l’arrivo del nuovo anno in hotel, nella stanza (l’unica veramente calda) di due compagne del gruppo.

Il mercato del giovedì di Coc Ly

L’indomani partenza alle 8, direzione mercato del giovedì di Coc Ly (a un’ottantina di chilometri da Sapa che ci mettiamo circa 2 ore e mezza a percorrere).

Solo gli incontri durante il percorso meritano questo giro, per citarne solo due: sorpassiamo un tizio in motorino che trasporta, sul portapacchi posteriore, un grosso maiale…vivo, mentre da una stradina laterale spuntano due ragazze che, sempre in motorino, trasportano una carriola (nel senso che la carriola, appoggiata per terra, viene tenuta dalla ragazza seduta dietro con le due mani… come se fosse un carrellino).

Il mercato merita assolutamente la visita: essendo arrivati un po’ tardi, della parte degli animali è rimasto poco, ma il resto è ancora in piena attività, compresi i numerosi barbieri che fanno barba e capelli in improvvisate “botteghe” sulla strada; c’è qualche bancarella per turisti, ma la maggior parte sono prodotti per la popolazione locale e c’è un’area dedicata alla ristorazione con zuppe, fritti, carni macellate in loco ecc.

Lasciato il mercato, andiamo verso il fiume Chay dove facciamo una bella gita di circa un’ora e mezza con piccole barche da sette fino al villaggio di Bao Nhai: la navigazione è lenta e piacevole, il tempo clemente e il tutto molto rilassante. Torniamo in al bus e, dopo una sosta pranzo, ci dirigiamo verso Lao Cai dove, alle 21.40 ci attende il treno per Hanoi.

CROCIERA NELLA MITICA BAIA DI HA LONG

Arrivati ad Hanoi alle 5.40, partiamo per la baia di Ha Long, la perla del Vietnam, dove arriviamo dopo 4 ore di bus e una sosta per il pranzo in una specie di centro commerciale per turisti (con prezzi adeguati al target). Alle 12 saliamo sulla barca, ottima sistemazione: la cabina doppia con bagno è piccola, ma confortevole e si gode una bella vista anche standosene placidamente sdraiati a letto. Nonostante il tempo bigio, per fortuna senza nebbia né pioggia, la baia è comunque spettacolare con i suoi mille pandori verdi che sbucano dall’acqua.

Ovviamente non è una crociera solitaria: nei pressi dell’isola Titop dove c’è un promontorio dalla cui cima si gode di un ottimo panorama, conto più di una cinquantina di imbarcazioni. È comunque bello girovagare zigzagando tra le oltre 3.000 isole della baia; l’indomani visitiamo la grotta Hang Sung Sot (Grotta della Sorpresa), una delle tante racchiuse nelle rocce calcaree delle isole. Pranzi e cene in barca, tutto ottimo. Rientriamo ad Hanoi nel tardo pomeriggio e dopo un giro dedicato agli acquisti, ceniamo nella Citta Vecchia.

UNA FULL IMMERSION NELLA DIVERTENTE HANOI

Nell’ultimo giorno in Vietnam giri in libertà a piccoli gruppi, unico appuntamento al Teatro delle marionette sull’acqua dove abbiamo preso i biglietti per lo spettacolo delle 18.30. Il nostro drappello comprende Elena, Stefania, Massimiliana, Massimo, Giampiero ed io. La prima meta è il mercato di Dong Xhuan: un monumento al commercio che si sviluppa su tre piatti fitti di bancarelle di ogni tipo, all’interno di un austero edificio stile sovietico (ricostruito dopo un incendio che nel 1994 lo aveva distrutto).

Ci dirigiamo quindi verso la Pagoda Tran Quoc, una delle più antiche del Vietnam, che si trova sulle rive del lago Tay Ho; ci arriviamo dopo una bella e lunga camminata nel quartiere francese dove sorgono belle case di epoca coloniale lungo grandi viali alberati. Purtroppo arriviamo pochi minuti dopo la chiusura per la pausa pranzo e quindi proseguiamo il nostro giro, ma mentre Giampiero, Elena ed io decidiamo di prendere un taxi per la Città Vecchia, gli altri compagni del gruppetto preferiscono proseguire a piedi.

Entriamo nel vivo della città per assaporarne la parte più divertente (si aggregano a noi Lorenza e Mario che incontriamo in un ristorantino dopo gustiamo un ottimo pranzo): dal più svariato cibo da strada, alle botteghe straripanti di merce, ma soprattutto siamo affascinati dalla capacità di trasportare in moto quantità e tipologie di prodotti assolutamente improbabili.

Le case sono particolari, alte e strette come in quasi tutto il paese, ma affastellate l’una sull’altra con balconi densi di piante e finestre attraverso le quali si intravedono pile di scatoloni. Nel nostro girovagare vediamo il delizioso tempio di Bach Ma e attraversiamo Cua O Quan, la Vecchia Porta Orientale. Dopo lo spettacolo delle marionette sull’acqua che ci regala un simpatico tuffo nell’infanzia, andiamo a cena al Blue Butterfly, ristorante delizioso sia nella struttura sia nei cibi.

È la nostra ultima sera in Vietnam che chiudiamo con una lunga passeggiata fino all’hotel attraverso le vivaci e animate stradine della Città Vecchia.

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1 thought on “Vietnam: nulla è come te lo aspetti

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