In tenda si, ma comoda. A 64 anni non me la sentivo di affrontare le scomodità tipiche di un viaggio in tenda, però andare in Botswana mi attirava parecchio per cui, quando Giampiero mi ha proposto il Bot.Soft.Wana di Avventure nel Mondo, mi è sembrato un compromesso accettabile: tende montante e smontate dall’organizzazione con brandine e materassini, gabinetto e doccia collegati alla tenda, cuoca. In tutto 12 giorni, compreso il volo di andata e ritorno dall’Italia.
Il volo, con i due scali, è durato circa 21 ore: Milano – Doha – Johannesburg – Victoria Falls. Siamo in 16: Ezio e Simona da Brescia, Giada e Giulia da Milano, Gianluca e Annalisa da Bologna, Mirella e Sergio da Roma, Giovanna e Simone da Roma, Antonio e Donatella da Roma e Michele e Gabriele da Lisbona. Un gruppo ben assortito e piacevole, con alcune punte di grande simpatia.
Arrivati al Shearwater Village di Victoria Falls abbiamo giusto il tempo di sistemare i bagagli e fare una rapida doccia, poi subito alle cascate Vittoria dato che la visita dura un paio d’ore e il parco chiude alle 18.
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Le cascate Vittoria
Per prima cosa senti il rumore, un rombo fragoroso e continuo, poi avverti la crescente umidità dell’aria. Poi le vedi. Le cascate Vittoria appaiono da uno squarcio nella vegetazione, ma per conquistare un posto per fotografarle bisogna avere pazienza. Le cascate sono uno dei luoghi più turistici dell’Africa centro-meridionale e quindi non si può certo sperare di essere soli. Anche se, un po’ attenzione agli altri ci potrebbe essere da parte di chi pensa di essere una modella di Vogue e si fa fotografare in tutte le pose, con capelli sollevati e labbra turgide che lanciano improbabili baci alla fotocamera (il tutto ovviamente occupando tutto lo spazio disponibile). Ma pazienza…del resto abbiamo superato gli 8 miliardi su questo piccolo pianeta!
Le cascate non sembrano essere alla loro piena portata, ma sono comunque imponenti e le nubi di vapore acqueo riempiono l’aria creando continui arcobaleni.
Le cascate si possono visitare dallo Zimbabwe, lato dal quale accediamo, e dallo Zambia e sono create da una profonda spaccatura nella quale precipita il fiume Zambesi con un salto che varia tra i 70 e i 100 metri. Furono scoperte nel 1855 dall’esploratore scozzese Livingstone che le chiamò cascate Vittoria in onore della regina inglese; le popolazioni indigene le chiamano invece Mosy oa Tunya che significa fumo tuonante.
Botswana: un paese attento all’ambiente
Grande quasi due volte l’Italia, il Botswana si estende su un altopiano di circa 1000 m e il suo territorio è occupato per il 70% dal deserto del Kalahari. Il paese è molto attento alla protezione dell’ambiente e della biodiversità: il 17% della terra è dedicato ai parchi e alle riserve naturali e il 22% ad aree di conservazione; promuove iniziative di cooperazione transfrontaliera con Namibia, Zambia, Angola e Zimbabwe per la gestione condivisa delle risorse naturale e facilitare la migrazione della fauna selvatica tra le varie aree.
Il nostro è un viaggio piuttosto breve e comprende un giorno dedicato alle cascate Vittoria per cui è rimasto fuori dalla nostra portata il Makgadigadi Pan, la grande depressione salata (vestigia del passaggio dell’Okawango che ormai non vi scorre più) che si trova nella parte orientale del paese, regno dei baobab oltre che di una ricca popolazione faunistica. Così come non siamo entrati nel Kalahari con le sue vaste praterie e foreste di acacia.
Quello che siamo riusciti a vedere ci ha comunque soddisfatto completamente e, quando ci siamo salutati, tutto il gruppo ha concordato nel definirlo un viaggio emozionante.
Guide preparate e competenti
Una nota a parte la meritano le guide, la cuoca e tutto lo staff che ci ha accompagnato in questo viaggio. Le guide appartengono alla BOGA, Botswana Guides Association, fondata nel 1999 dalle guide professioniste di Maun, che volevano una piattaforma in cui le guide e gli operatori di piccoli safari potessero esprimere le loro preoccupazioni e necessità in merito al settore turistico. È un’organizzazione di networking e consulenza e gli autisti-guida che abbiamo avuto, Kgee e Denis, si sono rivelati veramente bravi: attenti al territorio, con una grande conoscenza degli animali e delle loro abitudini e molto capaci nel trovare i luoghi di avvistamento (spesso arrivavamo per primi, rimanendo soli a lungo).
La cuoca, Lesh, ci ha cucinato carne, pasta, abbondanti colazioni, preparando sandwich laddove non si poteva fare diversamente. Certo, i condimenti erano un po’ diversi da quelli ai quali siamo abituati in Italia, ma nell’insieme abbiamo sempre mangiato bene.
Infine, lo staff dedicato al montaggio e smontaggio dei campi. Erano in quattro e ogni volta ci facevano trovare, al nostro arrivo, i campi montati, con le docce pronte con acqua calda. Insomma, un vero lusso.
La placida navigazione sul Chobe
Arrivati al Big 5 Lodge di Kasane prendiamo possesso delle nostre camere (otto piccole casette indipendenti con bagno) e alle 14 ci ritroviamo per la crociera sul Chobe.
Lungo circa 150 chilometri, il Chobe nasce nel nord-est dell’Angola, dal sistema fluviale del Kwando. Quest’ultimo, quando lascia la Namibia per entrare in Botswana, cambia nome diventando Linyanti nell’attraversare una vasta zona paludosa nel nord del paese. Dopo aver attraversato le paludi di Linyanti, il fiume prende il nome di Chobe e si dirige verso est lungo il confine tra Botswana e Namibia. Qui segna la frontiera tra il Botswana e la striscia di Caprivi in Namibia. Infine il fiume si unisce allo Zambesi a Kazungula, una località situata nel punto in cui convergono i confini di quattro paesi: Botswana, Namibia, Zambia e Zimbabwe.
È proprio in quest’area che la cooperazione transfrontaliera (strutturata nell’iniziativa Kavango-Zambezi Transfrontier Conservation Area – KAZA TFCA) è cruciale e nel passato non sono mancate tensioni riguardo l’uso delle acque del fiume.
La parte più famosa del Chobe è il tratto conosciuto come Chobe Riverfront, che si estende per circa 60 chilometri lungo il confine settentrionale del Parco Nazionale del Chobe. Questa zona è rinomata per la sua abbondante fauna selvatica, soprattutto durante la stagione secca, quando gli animali si radunano lungo il fiume in cerca d’acqua.
La nostra crociera ha inizio nei pressi di Kasane dove saliamo su una chiatta piuttosto grande che ci consente di muoverci tranquillamente e sedere comodamente sulle sedie disposte lungo i fianchi. Non mancano le bevande fresche e così possiamo goderci la placida navigazione al tramonto. Arriviamo all’isola di Sedudu, lungamente contesa tra Namibia e Botswana, ma poi assegnata a quest’ultima da una commissione internazionale e ne facciamo tutto il periplo in un giro che dura circa 2 ore.
Incontri ravvicinati con i coccodrilli
Sulle rive del fiume, mandrie di elefanti e qualche solitario coccodrillo, immobile, ma rapidissimo nell’entrare in acqua non appena avvistata una preda (scatto che Mirella riesce a immortalare in un video).
Il coccodrillo più comune in Botswana è il coccodrillo del Nilo, una delle specie più grandi e diffuse in Africa. I coccodrilli del Nilo possono crescere fino a lunghezze di 5-6 metri, anche se la media è di circa 4-5 metri, e gli adulti possono pesare tra i 500 e i 1.000 kg. Preferiscono le acque dolci, ma possono anche adattarsi a habitat salmastri, amano le rive fangose e sabbiose perché ideali per deporre le uova. Sono predatori opportunisti e altamente adattabili, cacciando una vasta gamma di prede, tra cui pesci, uccelli, mammiferi e occasionalmente persino altri coccodrilli. Sono noti per la loro abilità nel catturare grandi prede, come antilopi, zebre e bufali, trascinandole nell’acqua per affogarle e hanno un sistema digestivo estremamente potente, che permette loro di digerire carne, ossa e persino corna. I coccodrilli svolgono un ruolo cruciale nell’ecosistema, contribuendo a mantenere l’equilibrio delle popolazioni di prede e a garantire la salute dei corsi d’acqua rimuovendo carcasse e detriti.
Terminata la crociera andiamo a Kasane dove facciamo conoscenza con la cuoca, Lesh, che ci aiuterà anche a fare una gigantesca spesa alla quale ci dedichiamo dopo il cambio dei dollari in pule.
Riempiamo quattro carrelli con scatolette varie, farina, pane in cassetta, biscotti, pasta, caffè, carta igienica e ogni cosa necessaria (e non) per i sei giorni nei parchi.
Il Parco Nazionale del Chobe, dove gli elefanti dominano
La mattina del 6 agosto appuntamento alle 9, ultimo passaggio dal supermercato di Kasane dove acquistiamo vino, birra, carne, acqua e ghiaccio, e alle 11 partenza.
Costeggiamo il Chobe e in poco più di mezz’ora siamo al Ngoma Gate del Parco Nazionale del Chobe. L’ingresso diventa una procedura lunghissima per il conteggio dei soldi che vengono contati e ricontati dagli impiegati del parco, dando ogni volta un risultato diverso. Alla fine, viene trovata la quadra, i soldi erano esattamente quelli preparati da Giampiero e si parte.
La più grande popolazione di elefanti del mondo
Abbiamo subito un incontro ravvicinato con una mandria di elefanti che si abbevera al fiume. Staresti ore a guardarli, vedere come proteggono i piccoli, come controllano il territorio o scavano per strappare gli arbusti; per non parlare dei sinuosi movimenti della lunga proboscide.
Il Botswana ospita la più grande popolazione di elefanti al mondo, con una stima di oltre 130.000 esemplari, concentrati principalmente nelle regioni settentrionali del paese.
I maschi possono raggiungere un’altezza di 3-4 metri alla spalla e pesare tra i 5.000 e i 6.000 kg, mentre le femmine sono leggermente più piccole. Le zanne, presenti in entrambi i sessi, sono lunghe proiezioni di denti che possono crescere fino a oltre 2 metri di lunghezza e vengono utilizzate per scavare, combattere e manipolare oggetti, mentre le grandi orecchie aiutano a dissipare il calore grazie alla circolazione del sangue attraverso i numerosi vasi sanguigni.
Gli elefanti del Botswana effettuano grandi migrazioni stagionali, spesso attraversando confini nazionali verso Namibia, Zimbabwe e Zambia in cerca di cibo e acqua.
Sono animali altamente sociali e vivono in gruppi familiari, guidati da una femmina anziana, la matriarca. Le mandrie sono costituite da femmine imparentate e dai loro piccoli; i maschi, una volta maturi, tendono a vivere in modo solitario o a formare piccoli gruppi e si riuniscono con le femmine durante la stagione riproduttiva.
Gli elefanti comunicano attraverso una vasta gamma di suoni, gesti e segnali olfattivi. Utilizzano anche i rumori infrasonici (suoni a bassa frequenza) per comunicare su lunghe distanze. Sono erbivori e consumano grandi quantità di vegetazione ogni giorno, inclusi erba, foglie, frutti, corteccia e radici. Possono mangiare fino a 150 kg di cibo al giorno e bere fino a 200 litri d’acqua.
Gli elefanti svolgono un ruolo ecologico cruciale nel modellare il loro habitat: mangiando grandi quantità di vegetazione, creano nelle foreste radure che diventano l’habitat naturale delle grandi mandrie di bufali e gnu; con le loro migrazioni, e grazie a un apparato digerente molto semplice, disperdono semi contribuendo alla creazione di nuove zone arbustive; scavando con le zanne creano pozze d’acqua oppure lasciano solchi che, nella stagione delle piogge, agevolano il defluire dell’acqua.
Gli occhi dolci delle giraffe
Solitarie o in piccoli gruppi, le giraffe hanno accompagnato tutto il nostro viaggio. Con i loro grandi occhioni dolci, ci guardavano incuriosite per qualche istante per continuare a ruminare imperterrite gli appetitosi arbusti. Ne abbiamo viste alcune fermarsi a bere e il loro tremolante piegarsi sulle ginocchia, dopo una guardinga occhiata in giro per accertarsi dell’assenza di predatori, è sempre commovente.
In Botswana, la specie principale è la giraffa del Sud, una delle quattro sottospecie presenti in Africa. Queste giraffe sono caratterizzate da un manto con macchie più scure e meno definite rispetto ad altre sottospecie, oltre che da una colorazione di fondo più chiara.
Come ci spiegano le nostre guide, più il manto è scuro più la giraffa è anziana. Nonostante si pensi spesso che il loro continuo ruminare possa provocare danni all’ambiente, distruggendo tutta la vegetazione disponibile, in realtà le giraffe svolgono un ruolo cruciale nell’ecosistema, contribuendo alla rigenerazione della vegetazione attraverso il loro pascolo e favorendo la dispersione dei semi.
Le mandrie di bufali e gnu
Nonostante la loro mole, i bufali mi fanno sorridere con quelle corna che sembrano la parrucca di un valletto goldoniano. L’aspetto buffo non deve però trarre in inganno perché la loro forza ne fa uno dei più pericolosi dei cosiddetti Big Five (leone, leopardo, elefante, rinoceronte e, appunto, bufalo). Ne vediamo qualche mandria sia nel Chobe sia nel Moremi, aree che, insieme al Delta dell’Okawango e al Linyanti, rappresentano il loro habitat ideale grazie all’acqua abbondante e alla ricca vegetazione.
I bufali vivono in grandi mandrie che possono contare anche centinaia di individui; le mandrie sono composte da femmine, piccoli e giovani maschi, mentre i maschi adulti spesso si separano in piccoli gruppi o vivono solitari. I bufali sono animali gregari e sono noti per la loro solidarietà: quando un membro del gruppo è attaccato da un predatore, altri bufali possono intervenire in sua difesa.
Gli gnu sono tra gli erbivori più comuni del Botswana, anche se ne vediamo relativamente pochi. In particolare, il Botswana è abitato dallo gnu striato o gnu blu; vive in grandi mandrie che offrono protezione dai predatori, come leoni e iene, i loro principali nemici. Sono animali molto socievoli e spesso si vedono in compagnia di altre specie di erbivori come zebre e antilopi, con cui condividono i pascoli e, a volte, si proteggono reciprocamente dai predatori.
Nella grande famiglia delle antilopi
All’ombra di un’acacia durante le ore più calde, in piccoli gruppi a brucare nelle radure oppure libere mentre corrono saltellando nella savana: è molto comune incontrare antilopi, nelle loro molteplici differenziazioni, tanto che ci fai quasi l’abitudine, ma il nostro autista Denis richiama spesso l’attenzione su di loro, facendo notare quanto siano belle e leggiadre nonché le differenze tra le diverse specie.
E qui è necessaria una piccola spiegazione. Antilope è il termine generale che include una vasta gamma di specie, tra cui kudu, impala, springbok e gazzelle.
I kudu sono grandi antilopi con corna spiralate e un mantello striato, abitanti delle savane e delle foreste aperte; sono principalmente solitari o vivono in piccoli gruppi e sono noti per la loro timidezza.
Gli impala sono antilopi di medie dimensioni, note per i loro salti agili che, a differenza di quelli degli springbok, sono orizzontali e lunghi; vivono in grandi branchi e solo i maschi hanno corna lunghe e ricurve a forma di lira.
Gli springbok sono piccole antilopi, famosi per il loro “pronking” (un salto verticale eseguito quando l’animale è eccitato o allarmato) e che si sono adattati agli ambienti aridi; sia i maschi che le femmine hanno corna sottili e leggermente ricurve.
Le gazzelle sono piccole e snelle antilopi veloci che vivono in savane e deserti; sia i maschi che le femmine spesso hanno corna, che possono essere diritte o leggermente curve.
L’importanza strategica dei termitai
Ovunque ci si giri, si vedono strutture più o meno alte, castelli di sabbia dalla base ampia e che salgono poi restringendosi. Sono i termitai, abitazioni di colonie di migliaia e migliaia di termiti appartenenti al genere Macrotermes, che hanno un ruolo fondamentale nella conservazione dell’ambiente e della biodiversità.
Vediamo prima di tutto la loro struttura: possono raggiungere altezze notevoli, spesso superando i 3-4 metri, e in alcuni casi raggiungendo anche i 6 metri. La struttura interna dei termitai è altamente complessa, con una serie di tunnel e camere progettate per mantenere una temperatura e un’umidità costanti, necessarie per la sopravvivenza della colonia; sono realizzati con una combinazione di terreno, saliva, e feci delle termiti. Questo materiale indurito diventa estremamente resistente, proteggendo la colonia dagli agenti atmosferici e dai predatori.
I termitai creano microhabitat unici: all’interno di queste strutture vivono non solo le termiti, ma anche una varietà di altri insetti, rettili, e persino piccoli mammiferi; inoltre, le termiti migliorano la fertilità del suolo intorno ai termitai attraverso il loro lavoro di decomposizione, arricchendo il terreno con nutrienti (e infatti vicino ai termitai si trova spesso una vegetazione più lussureggiante).
I termitai possono anche offrire un microclima favorevole per la crescita di alcune piante, proteggendole dalle condizioni climatiche estreme e fornendo una fonte costante di umidità. Infine, i termitai più grandi offrono anche ottime opportunità per l’osservazione della fauna: leoni e altri predatori spesso vi si posizionano in cima per avere una vista migliore dell’area circostante.
È affascinante rendersi conto di come ogni elemento della natura abbia una funzione utile e fondamentale per l’intero ecosistema e come, senza l’intervento dell’uomo, la natura sappia regolarsi, adattarsi, mutare per garantire la sopravvivenza.
Fallisce invece una sosta pranzo in un’area attrezzata perché “occupata” da una colonia di scimmie che, sapendo perfettamente che lì vanno i turisti a mangiare, ne attendono l’arrivo per accaparrarsi facilmente il cibo attraverso furti con destrezza. Poco dopo vediamo un babbuino appollaiato su un grande sasso che ci guarda con curiosità.
Savuti: il regno dei leoni, ma non solo
Attraversate le foreste del Serondela, arriviamo al Savuti. Quest’area si trova all’interno del Parco Naturale del Chobe per cui vi entriamo senza transitare da alcun gate, ma quando vi arriviamo ci rendiamo immediatamente conto di essere in un luogo particolare.
Si tratta di una vasta, circa 5.000 km2, pianura alluvionale costellata da enormi baobab e attraversata da un canale, completamente secco nella nostra visita. La storia geologica di questo canale è affascinante e ne determina il comportamento imprevedibile: il canale alterna periodi di attività e inattività, con fasi in cui scorre per decenni seguite da lunghi periodi di secca e questa intermittenza è dovuta a complessi movimenti tettonici sotterranei che influenzano l’afflusso d’acqua dal fiume Linyanti. Negli ultimi decenni, il canale è stato asciutto per gran parte degli anni ’80 e ’90 mentre nel 2008 ha ripreso a scorrere dopo più di 28 anni di secca, trasformando radicalmente l’ecosistema circostante e creando nuovi habitat per la fauna selvatica. Ora è nuovamente in secca.
Il governo del Botswana ha installato delle pompe (alimentate da pannelli solari) per fornire acqua alle pozze anche nei periodi di secca. E intorno a queste pozze la gerarchia della savana si mostra in tutta la sua crudeltà. Ci siamo fermati a lungo a osservare una mandria di elefanti che aveva preso possesso di una pozza bevendo direttamente dal tubo erogatore: impossibile avvicinarsi per ogni altro animale che veniva regolarmente cacciato. In particolare, abbiamo assistito al commovente tentativo di avvicinamento di un facocero, bullizzato da un esemplare adolescente di elefante.
I facoceri sono molto comuni in Botswana e la loro andatura trotterellante abbastanza buffa; nonostante la loro apparente goffaggine sono però agili e riescono, sebbene non sempre, a sfuggire ai felini dei quali sono prede naturali; curioso il loro comportamento di “foraggiamento”, in cui si inginocchiano sugli avambracci per scavare il terreno con i loro forti zoccoli alla ricerca di radici e bulbi (attività che contribuisce ad arare il terreno, facilitando la crescita di nuove piante).
Incontri ravvicinati con il re, e la regina, della savana
Nei vari game drive nel Savuti vediamo diversi branchi di leoni e ognuno ci regala un’emozione diversa.
Un gruppo, composto da due leoni adulti e alcuni leoni adolescenti se ne sta placidamente sdraiato all’ombra di due acacie. Uno degli adulti continua imperterrito a dormire, l’altro socchiude gli occhi, ci guarda sonnacchioso, si alza, si gira, sbadiglia e si ridistende a dormire. Del resto, quella del dormire sembra essere la loro attività principale alla quale dedicano anche più di 20 ore al giorno.
Il secondo incontro è con una leonessa e i suoi cuccioli, anche in questo caso la nostra presenza, a non più di due metri, non la infastidisce affatto e i piccoli giocano, saltellando e lottando tra di loro. Le guide ci spiegano che questi animali ormai conoscono le auto e le considerano “animali” innocui purché vengano percepite come un tutt’uno: se ci si sporge o ci si alza in piedi sbucando dal tettuccio aperto, capiscono che c’è qualcosa di strano e si spaventano. In questo caso, la cosa più probabile che fanno è allontanarsi.
Il terzo gruppo è piuttosto numeroso e comprende 9 o 10 esemplari di adulti, tra leoni e leonesse, e qui assistiamo a una scena veramente interessante: il branco mette in atto un accerchiamento a tenaglia nei confronti di un animale in mezzo a una radura. Il passo felpato, la schiena allungata, la testa bassa e il movimento coordinato del gruppo fanno intuire che la preda avrà poche possibilità di scampo. Mentre sono in atto queste manovre, la nostra guida ci indica due esemplari, un maschio e una femmina, che si allontanano, presumibilmente per accoppiarsi; li seguiamo e attendiamo un po’, ma i due non si decidono e alla fine ce ne andiamo, lasciandoli alla loro intimità.
I leoni che si trovano in quest’area e nel Delta dell’Okawango sono molto abili nel cacciare le loro prede anche in acqua, una competenza che non si riscontra comunemente in altre popolazioni di leoni. I leoni del Botswana tendono a essere più grandi rispetto ai loro “cugini” di altre regioni africane, probabilmente a causa della maggiore disponibilità di prede di grandi dimensioni come bufali e giraffe.
I gruppi di leoni nel Botswana possono essere piuttosto grandi, con alcuni branchi che contano più di 30 individui. Le strutture sociali di questi branchi sono complesse e influenzano molto le dinamiche di caccia e difesa del territorio. Un branco di leoni tipicamente consiste di femmine adulte, i loro cuccioli e uno o più maschi adulti: le femmine spesso restano nel branco in cui sono nate, mentre i maschi possono essere espulsi quando raggiungono l’età adulta e formano o si uniscono ad altri branchi.
I maschi adulti di solito hanno il compito di proteggere il territorio del branco e di accoppiarsi con le femmine. In un branco ci possono essere da uno a tre o più maschi, che spesso sono legati da un legame di parentela o da alleanze. Le femmine sono principalmente responsabili della caccia e della cura dei cuccioli, seguendo una gerarchia ben definita; collaborano per cacciare e si occupano della maggior parte delle attività quotidiane del branco.
I leoni marcano il loro territorio con urla e segni visivi, come graffi sugli alberi e depositi di urina. Questo serve a prevenire conflitti e a stabilire i confini del loro territorio.
Paolina Bonaparte sul ramo
Distesa sul ramo, con la zampa abbandonata sul corpo, come la Paolina Bonaparte scolpita dal Canova, la leopardessa che si palesa a pochi metri dalle jeep è un’immagine che ci ammutolisce. Una diva.
I leopardi sono predatori solitari e cacciano prevalentemente di notte, sfruttando la loro eccellente vista notturna e il mantello maculato che li rende quasi invisibili tra la vegetazione. Sono estremamente silenziosi e pazienti; si muovono verso la preda fino a una distanza ravvicinata prima di balzare per uccidere con un morso preciso alla gola. Diversamente dai leoni, i leopardi sono animali solitari e interagiscono con altri della loro specie solo durante la stagione degli amori o nella fase dell’allevamento dei cuccioli. Ogni leopardo ha un proprio territorio che marca con urina, graffi sugli alberi e vocalizzazioni.
Le femmine di leopardo sono madri molto protettive e allevano i cuccioli da sole. Spostano spesso i cuccioli da un nascondiglio all’altro per proteggerli da predatori come iene e leoni, e insegnano loro a cacciare portandoli con sé in piccole battute di caccia.
Ma tra i felini c’è anche un gatto
Quando Denis si ferma non capiamo cosa ci voglia indicare perché lui è lì, guardingo e immobile sulla radice di un ramo, immerso nella vegetazione, quasi indistinguibile: è il gatto selvatico del Botswana, una sottospecie del gatto selvatico africano, conosciuta scientificamente come Felis silvestris lybica.
Progenitore di un gatto domestico di taglia media, corpo snello e zampe lunghe con un mantello grigio-giallastro (ma può essere anche marrone) con strisce e macchie nere, il gatto selvatico è un animale solitario e notturno, molto schivo e tende a evitare l’uomo.
Il rischio maggiore per quanto riguarda la sua conservazione è l’ibridazione con i gatti domestici che può diluire le caratteristiche genetiche della specie selvatica.
E non mancano i cani selvatici, i licaoni
Vengono chiamati anche cani selvatici africani e non si possono definire belli: maculati e con le grandi orecchie, i licaoni hanno comunque un loro fascino. Sarà per il nome esotico, sarà perché sono ormai in estinzione, quando ne incontriamo un branco ci fermiamo per osservarne il comportamento.
I licaoni vivono in branchi fortemente strutturati, che possono contare da una dozzina a oltre venti individui, e sono guidati da una coppia dominante (maschio e femmina alfa) mentre tutti i membri del branco cooperano per allevare i cuccioli e cacciare, anche se solo la coppia alfa si riproduce. La coesione sociale è fondamentale per il successo di questi animali, che comunicano attraverso vocalizzazioni, posture corporee e rituali di saluto.
I licaoni sono famosi per la loro efficienza nella caccia, avendo uno dei tassi di successo più alti tra i predatori africani, con circa l’80% delle loro cacce che si concludono con una cattura. Cacciano in branco, utilizzando strategie cooperative per inseguire e sfinire le prede: la caccia inizia spesso con una corsa ad alta velocità, e la preda viene inseguita fino all’esaurimento.
Le sorelle di Timon
Avete presente Timon in “Il re Leone”? Beh, le manguste sono proprio così: piccoli mammiferi agili e intelligenti dall’aria simpatica che spuntano tra l’erba da sole o in gruppo, rizzandosi sulle zampe posteriori e ruotando il musetto a punta. Coraggiose, nonostante le loro ridotte dimensioni: quando si sentono minacciate emettono suoni forti e agitano la coda per sembrare più grandi e spaventare i predatori. Inoltre, le loro tattiche di gruppo e la velocità le rendono difficili da catturare.
La specie più diffusa in Botswana è la mangusta nana. Le manguste sono onnivore e hanno una dieta varia che include insetti, piccoli rettili, uova, uccelli e frutta. Sono famose per la loro abilità nel cacciare serpenti velenosi, come il cobra: attaccano in gruppo, distraendo e stancando il serpente prima di sferrare il colpo finale.
Una riserva sul fiume Khwai
Usciamo dal Parco Nazionale del Chobe attraverso i Mababe Gate e ci dirigiamo verso la Riserva Privata Khwai. Circa 200.000 ettari intorno alle anse del fiume Khwai in un contesto completamente diverso da quelli attraversati finora: gruppi di mopane, alberi le cui foglie hanno una forma caratteristica a “farfalla”, si spartiscono lo spazio con acacie e arbusti di varie dimensioni; l’erba è rigogliosa e verdissima e il terreno è attraversato da canali tortuosi che conducono al fiume Khwai.
Khwai era in precedenza una concessione di caccia, ma un duro lavoro ha trasformato l’area in una riserva.
È qui che facciamo un giro di circa due ore sui mokoro, barche tipo gondole (sulle quali si sta in 3 o 2 più il “gondoliere”). La navigazione è placida e stimola la contemplazione silenziosa, almeno fino a quando arriviamo a una grande pozza dove un ippopotamo si sente disturbato dalla nostra presenza e mostra tutto il suo disappunto, spaventando non poco i passeggeri delle prime due barche entrate nella pozza.
L’ippopotamo…sembra placido, ma è feroce
Lungo il fiume Chobe ne abbiamo visti diversi e osservarli da lontano mentre si sollazzano in acqua o a gruppi, completamente immersi nell’acqua, con solo gli occhietti e le orecchie che spuntano, gli ippopotami sembrano giganti impacciati e inoffensivi.
Sembrano. Perché in realtà sono molto aggressivi, soprattutto se si sentono minacciati, e sono responsabili del maggior numero di uccisioni di essere umani rispetto agli altri animali. Infatti, nonostante la loro mole possono attaccare rapidamente sia in acqua sia su terraferma.
Gli ippopotami possono pesare tra i 1.500 e i 3.200 chilogrammi, con grandi bocche che possono aprirsi fino a 150 gradi cosa che, pur essendo erbivori, fa una cerca impressione visto che nell’apertura rivelano enormi zanne. La loro pelle spessa è altamente sensibile al sole; per questo motivo, producono una sostanza oleosa rosso-rosata, spesso chiamata “sudore di sangue”, che funge da crema solare naturale e agente antibatterico.
Questi simpatici “animaletti” trascorrono la maggior parte del giorno nell’acqua per rimanere freschi e proteggere la pelle dal sole; sono eccellenti nuotatori e possono rimanere immersi per diversi minuti prima di dover emergere per respirare. Sono animali sociali che vivono in gruppi chiamati “scuole” o “pod”, che possono variare in dimensioni, da pochi individui a oltre 30. Questi gruppi sono dominati da un maschio adulto, che difende il suo territorio acquatico.
Gli ippopotami svolgono un ruolo chiave nei loro ecosistemi. Le loro abitudini di defecazione nell’acqua arricchiscono i corsi d’acqua con nutrienti, che supportano una vasta gamma di forme di vita acquatica.
Il tasso, animale senza fissa dimora
Estremamente resistente e aggressivo, il tasso del miele (questo è il nome della varietà che vive in Botswana) non è particolarmente legato alla sua tana. Scava tane temporanee e non le usa per lunghi periodi di tempo per cui, una volta libere, è comune che altri animali le occupino. Il tasso del miele ha una pelliccia distintiva con una colorazione bicolore: la parte superiore del corpo è grigia o bianco-grigiastra, mentre la parte inferiore è nera; la testa è larga, con orecchie piccole e un muso corto; possiede artigli lunghi e robusti, particolarmente utili per scavare e per la difesa.
Ne abbiamo incontrato un unico esemplare che, appena sentito il rumore dell’auto, è scappato via sgattaiolando tra i cespugli. Sono però numerose le tane da lui scavate che abbiamo incontrato.
Una grande varietà di uccelli
E poi volatili in grande quantità. Sia nel Parco Nazionale del Chobe sia nella Riserva Khwai sia nella Riserva Naturale Moremi gli uccelli non mancano.
Tra i più maestosi, l’aquila pescatrice africana con la testa bianca che contrasta con il corpo marrone scuro e le ali nere. Lancia grida acute, che riecheggiano lungo i corsi d’acqua.
Bellissima quando dispiega le ali è la ghiandaia marina: un piccolo uccello con un piumaggio brillante con le ali che, quando si aprono, sono di varie gradazioni di azzurro mentre il petto è violetto. Vederla librarsi in cielo è davvero uno spettacolo.
E ancora varie specie di cicogne, fenicotteri dalle lunghe zampe, pellicani dal grande becco o, ancora, la spatola africana con il suo lungo becco a cucchiaio, le onnipresenti fagianelle (o francolini) con l’andatura barcollante e il corpo tozzo che rende il loro volo una sfida alle leggi della gravità. E poi gli struzzi, e quelli, con la loro stazza, a volare non riescono proprio ma corrono veloci, fino a raggiungere i 70 km/h.
Per non parlare degli avvoltoi, la cui fama li rende particolarmente odiosi, ma che assumono un ruolo di vitale importanza nell’ecosistema: sono infatti i principali spazzini che ripuliscono le carcasse degli animali morti, prevenendo la diffusione di malattie.
La varietà di flora e fauna della Moremi Reserve Game
Trascorriamo gli ultimi due giorni nella Moremi Reserve Game, istituita nel 1965 per contenere la caccia di frodo. Precedentemente, l’area apparteneva alla tribù dei Batawana che la cedette allo Stato per farne un’area protetta.
Nella Riserva si trovano concessioni private date in gestione con direttive molto rigide. La riserva copre la maggior parte della parte orientale del delta dell’Okavango e vi si trovano zone d’acqua permanente ed altre più secche con vaste distese di praterie.
Vi si può trovare qualsiasi tipo di animale e infatti ne vediamo diversi ed è qui che, in particolare, abbiamo un incontro ravvicinato con un paio di iene.
A tu per tu con la iena
È notte, la cena è terminata e alcuni di noi sono radunati intorno al fuoco per le ultime chiacchiere quando si sente un gran rumore provenire dalla zona dove sono accampate le guide.
Una iena fa capolino tra i cespugli e crea lo scompiglio tra i miei compagni di viaggio provocandone, dopo qualche piccolo tentativo di resistenza, una ritirata strategica nelle diverse tende.
In Botswana vivono due specie di iene, la iena maculata e la iena bruna. Quella che ci ha fatto visita e che avevamo già visto nei giorni precedenti è del primo tipo. Ha una struttura corporea robusta, con potenti mascelle e una spina dorsale leggermente inclinata, con le zampe anteriori più lunghe delle posteriori.
Le iene maculate vivono in clan strutturati e matriarcali (le femmine dominanti sono spesso più grandi e aggressive dei maschi), che possono contare da pochi individui fino a più di 80 membri. La comunicazione tra i membri del clan avviene attraverso una varietà di vocalizzazioni, tra cui il famoso “riso”, usato per coordinare le attività del gruppo o per intimidire i rivali e che, a sentirlo dal vivo, è abbastanza inquietante.
Sebbene siano considerate spazzine alla stregua degli avvoltoi, le iene maculate sono in realtà cacciatori molto efficienti: cacciano in gruppo e possono abbattere prede di grandi dimensioni come zebre e gnu. Inoltre, sono in grado di sfruttare le carcasse lasciate da altri predatori, grazie alle loro potenti mascelle che permettono di frantumare ossa e accedere al midollo.
Dallo sciacallo, spazzino monogamo, alle placide zebre fino ai “desaparecidos”
In Botswana vivono due specie di sciacalli: lo sciacallo dal dorso nero e lo sciacallo dalla gualdrappa. Ne vediamo diversi e hanno un’aria innocua e tenera, nonostante si tratti di animali opportunisti che utilizzano la propria astuzia per rubare le prede di altri animali. Vivono spesso in coppie monogame e sono noti per la loro abilità a cacciare in modo cooperativo.
Nel Moremi vediamo anche finalmente le zebre, tra cui una visibilmente incinta, che fino ad ora non erano comparse. Infatti, sebbene sia uno degli animali più presenti nel paese, non ne avevamo ancora incontrate. In Botswana, la specie di zebra più comune è la zebra di Burchell, che è una sottospecie della zebra delle pianure. Le zebre compiono lunghe migrazioni stagionali il Parco Nazionale di Chobe e le saline di Makgadikgadi; si muovono in grandi mandrie, spesso in compagnia di altri erbivori come gnu e antilopi; vivono in gruppi sociali chiamati branchi o greggi, che solitamente consistono di un maschio dominante (lo stallone), diverse femmine e i loro puledri. I maschi non dominanti spesso vivono in gruppi di scapoli fino a quando non riescono a formare il proprio harem. Le zebre sono animali sociali e passano molto tempo a interagire tra loro attraverso vocalizzazioni, grooming (pulizia reciproca) e altre forme di contatto.
Infine i grandi assenti di questo viaggio: il rinoceronte e il ghepardo. Il primo perché in questa zona del Botswana è ormai completamente estinto: pare che durante il Covid, essendoci meno controllo e grazie all’assenza di turisti, i bracconieri ne abbiano sterminato i pochi esemplari rimasti. Per quanto riguarda in ghepardo, invece, nonostante le nostre guide lo abbiano cercato a lungo, questo timido animale non si è palesato.
Il volo sul Delta dell’Okawango
Concludiamo il nostro viaggio con un volo di 45 minuti sull’Okawango. L’aereo è un piccolo bimotore che potrebbe portare 12 persone ma ne imbarca 8 affinché tutti si possa stare vicino a un finestrino.
Non scende a più di 100 metri perché è vietato in quanto i voli radente il suolo disturberebbero gli animali (mentre anni fa non c’era questa attenzione).
L’acqua del fiume Ocawango, che scorre per circa 1.600 km partendo dalle montagne dell’Angola, si disperde nel deserto del Kalahari creando così un delta interno che non sfocia al mare. Durante la stagione delle piogge può coprire fino a 15.000 km2 dando vita a un’area ricca di canali, lagune, isole e pianure alluvionali; il delta ospita una straordinaria varietà di flora e fauna con più di 1.000 specie di piante, 480 specie di uccelli, 130 specie di mammiferi, e innumerevoli specie di pesci, rettili e insetti.
L’acqua delle piogge cadute mesi prima in Angola arriva al delta durante la stagione secca del Botswana (giugno-luglio), l’acqua dell’Okavango evapora lentamente o si infiltra nel suolo, senza mai raggiungere il mare.
Considerato che il nostro viaggio avviene in agosto e che quindi il periodo di massima espansione è terminato da poco, il volo evidenzia la criticità dell’impatto che il cambiamento climatico ha su questo delicato ecosistema. Si percepisce chiaramente la riduzione del delta con bracci completamente secchi, ricoperti di sterpaglie ingiallite ma che, dall’alto, mostrano tracce di quelle che fino a qualche anno fa erano probabilmente zone paludose dove l’acqua scorreva.
E questa è l’ultima grande emozione che ci regala questo viaggio. L’indomani il rientro in Italia.
nota:
Le fotografie sono principalmente di Giampiero Passarelli, i video miei, tranne quello del coccodrillo che entra in acqua che è di Mirella.